mercoledì 27 marzo 2024

Stati Uniti d'Europa, +Europa e Italia viva accolgono Volt, Psi e Libdem

Simbolo ricostruito
AGGIORNAMENTO DEL 28 MARZO: È corretto dare conto del comunicato emesso da Volt Italia, in particolare dal suo presidente Guido Silvestri: "Anche oggi abbiamo partecipato a diverse interlocuzioni con i partiti 
politici. In vista delle prossime elezioni europee, continua l'esplorazione di Volt Italia, il capitolo italiano del partito europeo VoltEuropa.org, con le diverse coalizioni su cui deciderà il 6 aprile la nostra assemblea in accordo con i nostri processi democratici. Ogni diversa ricostruzione, incluse ipotesi di simboli di coalizione, non si possono considerare espressione del nostro partito". Evidentemente, dunque, quello mostrato è un simbolo ipotetico, che potrebbe ancora cambiare nelle prossime ore: Volt prenderà la sua decisione in assemblea e se ne darà conto a tempo debito.

Da settimane tra le notizie politiche fa capolino qualche riferimento all'idea di una lista comune dell'area liberaldemocratica per le elezioni europee dell'8 e 9 giugno, prima pensata per tenere unite le forze politiche che, pur afferendo a due partiti europei diversi (Alde - Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l'Europa e Partito democratico europeo), fanno riferimento al comune gruppo al Parlamento europeo Renew Europe, poi ampliata alle forze riformiste interessate ad appoggiare l'idea di una lista di scopo nel nome del progetto degli Stati Uniti d'Europa. Il 15 dicembre 2023, infatti, La Stampa ha pubblicato un appello di Emma Bonino intitolato proprio E ora gli Stati Uniti d'Europa: le elezioni europee non erano il fine immediato, ma una tappa rilevante per riuscire ad arrivare all'obiettivo degli Stati Uniti d'Europa. Era però piuttosto chiaro che si volesse approntare nel frattempo uno strumento elettorale per affrontare in modo unitario l'appuntamento di giugno, nel tentativo di far pesare in Europa determinate voci, unendo le forze per raggiungere e superare la soglia del 4%: un obiettivo rilevante e insidioso, visto che non era riuscito alla lista Scelta Europea nel 2014 e al tandem +Europa - Italia in Comune - Pde Italia nel 2019.
Da poche ore è stato mostrato un primo simbolo (primo perché potrebbe non essere ancora definitivo) di una lista denominata, appunto, Stati Uniti d'Europa, la cui guida è certamente assunta da +Europa (partito esente dalla raccolta firme grazie ai parlamentari eletti nei collegi uninominali): lo mostra piuttosto chiaramente il nome della lista, scritto in carattere Arial Rounded (o assimilato) e colorato con la stessa composizione cromatico-geometrica - concepita da Stefano Gianfreda - che caratterizza fin dalla nascita il partito di Emma Bonino e Riccardo Magi: quel nome è stato inserito in una sorta di "fumetto" geometrico bianco, collocato sopra una bandiera europea sventolante, mentre il fondo in alto è giallo: il colore delle stelle d'Europa, il colore che sta nella parte inferiore del simbolo di +E, ma anche il colore tradizionalmente legato all'area libdem
Nella parte inferiore del simbolo, in un segmento curvilineo biconvesso bianco, trovano posto le miniature di cinque simboli di forse politiche. Il primo è +Europa, poi si trovano Italia viva e, nella seconda fila, Volt, Partito socialista italiano e Libdem europei: si tratta delle forze politiche che da più tempo hanno mostrato interesse per questo progetto di lista comune. In particolare, +Europa e Libdem (Costituente per il partito – Liberali Democratici Europei, fondata nel 2022 da Giuseppe Benedetto, Alessandro De Nicola, Oscar Giannino e Sandro Gozi, ora presieduta da Andrea Marcucci, mentre il segretario è Piero Cecchinato) sono soggetti membri dell'Alde Party (così come lo è Radicali italiani, che non appare nel simbolo ma dovrebbe essere della partita); il Psi - ovviamente membro del Pse - aveva già sostenuto la lista presentata da +Europa e Italia in Comune nel 2019; Volt aveva considerato seriamente la presentazione di una propria lista, fino a quando l'emendamento di Fratelli d'Italia al "decreto elezioni 2024" ha cancellato l'esenzione per i partiti affiliati a soggetti politici che avevano eletto europarlamentari in paesi diversi dall'Italia (la legge di conversione, peraltro, al momento non risulta ancora in vigore); quanto a Italia viva (rappresentata al Parlamento europeo da Nicola Danti e Sandro Gozi - eletto in Francia - ed esente dalla raccolta firme avendo almeno un gruppo parlamentare), aveva fin dall'inizio manifestato interesse per il progetto della lista nel nome di Renew Europe.
Come si diceva, quello mostrato poche ore fa potrebbe essere un simbolo non definitivo, quindi una tappa intermedia; di certo alle spalle ha un percorso accidentato, di convinzioni, dubbi, proposte e rifiuti. Un percorso che in molti (e più di tutti forse Mario Lavia su Linkiesta) hanno raccontato finora nei suoi continui ferma-e-riparti, ma soprattutto negli ostacoli emersi via via. Com'è noto e come il simbolo mostra, Azione non è tra i soggetti promotori o partecipanti al progetto di lista: la sua presenza sarebbe sicuramente importante per garantire - almeno sulla carta - il superamento della soglia, ma ancora a metà marzo Carlo Calenda si era detto "disponibile a una lista Stati Uniti d’Europa promossa da +Europa e Azione. Non sono disponibile a farla insieme a Renzi, Mastella, Cuffaro e la new entry Cesaro". In precedenza questa posizione e i dubbi di altri soggetti avevano messo seriamente a rischio l'intero progetto; oggi sembra essersi fatto un passo avanti (anche grafico) verso la concretizzazione della lista, mentre Azione - a sua volta esente dalla raccolta firme grazie al suo gruppo "in deroga" alla Camera - rimane impegnata in un suo percorso che, oltre a Nos, ha per ora raccolto il Partito repubblicano Italiano e i Repubblicani europei (facendo subito pensare ai #drogatidipolitica che, per ricucire tutte le scissioni, bisognerebbe recuperare anche i Repubblicani Democratici di Giuseppe Ossorio).
Bonino conferma la speranza di un ripensamento di Calenda e, da Italia viva, Maria Elena Boschi nega l'esistenza di veti, ma al momento un ulteriore ampliamento delle forze ad Azione sembra poco probabile. Non proprio scontato, peraltro, appare l'obiettivo del 4% per l'eventuale lista guidata dalla stessa Azione, specie se questa non dovesse contare sull'appoggio di quella parte di +Europa guidata dal suo presidente, Federico Pizzarotti, che avrebbe preferito allearsi con il partito di Calenda. 
Al di là delle probabili future candidature (Bonino, Alessandro Cecchi Paone, l'ex presidente dell'Unione Camere penali Giandomenico Caiazza, l'ex sindaca di Lampedusa Giusi Nicolini, il corrispondente di Libération Eric Jozsef e l’ex presidente dell'Alde Graham Watson; non invece Totò Cuffaro, a dispetto delle voci circolate in questi giorni, pur avendo la "sua" Dc manifestato interesse per la collaborazione con Iv), il progetto di "lista di scopo" (per superare il 4% e fare pesare le sensibilità europeiste, liberaldemocratiche, riformiste e moderate) pare più vicino alla realizzazione. Pochi, però, sembrano ricordare che il nome che si intende schierare - dalla storia illustre, essendo stato titolo di un libro di Ernesto Rossi e avendo avuto usi ancora precedenti - era già finito in bacheca al Viminale, anche se non sulle schede, senza essere caduto in desuetudine in questi anni. Il particolare non è privo di rilievo e merita di essere tenuto in considerazione, specie nei prossimi giorni.

martedì 26 marzo 2024

Pace Terra Dignità, i Verdi-Grüne-Vërc diffidano Santoro per la colomba

Si era rivelato non proprio semplice, fin dai suoi primi passi, il cammino verso le elezioni europee della lista Pace Terra Dignità, promossa da Michele Santoro, Raniero La Valle e Benedetta Sabene e co-partecipata da varie forze politiche, a iniziare dal Partito della Rifondazione comunista: prima il problema dello sbarramento, poi la grana improvvisa delle firme da raccogliere, ora anche - a quanto si apprende in esclusiva - il simbolo contestato, con la possibilità che sia messo in dubbio il lavoro fatto sin qui.
Se in origine infatti l'ostacolo principale era rappresentato dalla necessità di raggiungere il 4% dei voti per superare lo sbarramento imposto dalla legge (un problema, in realtà, comune a tutte le forze politiche medio-piccole, a prescindere dalla forza dimostrata in passato), alla metà di febbraio si era materializzato uno scoglio imprevisto e molto insidioso, a causa dell'emendamento "strozza esenzioni", presentato da quattro senatori di Fratelli d'Italia nell'iter di conversione del "decreto elezioni 2024", che avrebbe imposto di raccogliere in pochissimo tempo oltre 150mila firme, dovendone ottenere almeno 3mila in ogni regione. 
La riformulazione dell'emendamento, pur allentando un po' la stretta, ha continuato a non permettere più l'esenzione alle liste che, pur non avendo eletto europarlamentari in occasione del voto precedente, avessero potuto vantare un collegamento con un partito politico europeo rappresentato a Strasburgo (collegamento che, in questo caso, sarebbe stato assicurato proprio dal Prc, in virtù della sua adesione al Partito della Sinistra Europea). La modifica alla legge elettorale europea, com'è noto, è stata approvata (il 13 marzo al Senato, il 21 marzo alla Camera), ma contestualmente è stata introdotta anche una norma una tantum, che soltanto per le elezioni europee del 2024 ha dimezzato le firme necessarie (almeno 75mila totali, almeno 1500 in ogni regione): l'obiettivo, in tempi di partecipazione popolare ridotta e difficile, resta pur sempre arduo, ma l'asticella per questa volta si è abbassata, rendendo leggermente meno grave il cambiamento delle regole a gioco praticamente iniziato.
Tra le liste in preparazione che hanno visto di nuovo alla loro portata la possibilità di concorrere alle elezioni europee grazie a una raccolta firme meno severa - oltre a Democrazia sovrana popolare, Insieme liberi e altre forze politiche - c'è ovviamente Pace Terra Dignità. Oggi, però, è comparso un ulteriore problema, potenzialmente rischioso perché - nell'ipotesi peggiore, ma per niente scontata - potrebbe mettere in dubbio anche gli sforzi fatti sin qui per raccogliere le sottoscrizioni. Perché il problema riguarderebbe il simbolo, anzi, il contenuto del contrassegno scelto per la lista, contestato dal Verdi del Sudtirolo / Verdi-Grüne-Vërc.
I co-portavoce della forza politica, Elide Mussner e Luca Bertolini, quest'ultimo anche quale legale rappresentante, si sono infatti rivolti a un avvocato per tutelare gli interessi del partito: il giurista proprio oggi ha inviato una lettera di diffida a Michele Santoro (quale promotore "politico") e al Partito della Rifondazione comunista (quale soggetto politico aderente al progetto), lamentando la violazione (preventiva) delle norme elettorali in materia di contrassegni.
La diffida, che questo sito ha potuto visionare in esclusiva, prende atto della raccolta firme in corso e della descrizione del contrassegno della lista Pace Terra Dignità: "Cerchio di colore rosso tizianesco, recante al suo interno: - al centro, bozzetto di colomba di color bianco che porta sul becco ramo d’ulivo di color verde. - in basso, scritta di color bianco PACE TERRA DIGNITA' in carattere stampatello maiuscolo". Allo stesso tempo, la lettera segnala che "il Partito Verdi del Sudtirolo/Alto Adige - Grüne Südtirols - Verdi-Grüne-Verc, già dal 2014 [...] risulta iscritto nel registro dei partiti politici riconosciuti ai sensi del decreto-legge 149/2013" e che il suo statuto registrato, all'art. 2, descrive così il simbolo del partito: "una colomba della pace bianca su fondo verde contornata dalla scritta 'VERDI GRÜNE VËRC'".
Un confronto tra il simbolo storico dei Verdi-Grüne-Verc e il potenziale contrassegno della lista Pace Terra Dignità, secondo il legale cui i Verdi del Sudtirolo si sono rivolti, mostrerebbe "ictu oculi che quest'ultimo viola palesemente le disposizioni dell'art. 14 D.P.R. 30/03/1957, n. 361", cioè la disposizione che regola il deposito e l'ammissione dei contrassegni per l'elezione della Camera e che si applica esplicitamente anche alle elezioni europee. Il comma 3 dispone: "Non è ammessa lapresentazione di contrassegni [...] identici o confondibili con quelli presentati in precedenza ovvero con quelli riproducentisimboli elementi e diciture, o solo alcuni di essi, usati tradizionalmente da altri partiti", mentre il comma 4 (introdotto nel 1993 dalla "legge Mattarella" e modificato nel 2005, come il comma precedente, dalla "legge Calderoli") precisa che "costituiscono elementi di confondibilità, congiuntamente od isolatamente considerati, oltre alla rappresentazione grafica e cromatica generale, i simboli riprodotti, i singoli dati grafici, le espressioni letterali, nonché le parole o le effigi costituenti elementi di qualificazione degli orientamenti o finalità politiche connesse al partito o alla forza politica di riferimento anche se in diversa composizione o rappresentazione grafica".
Sulla base delle disposizioni sopra citate, la diffida invita i promotori della lista "a non utilizzare il contrassegno da Voi fino ad ora utilizzato - né per raccolte di firme, né per una successiva partecipazione a elezioni a qualsiasi livello - in quanto evidentemente confondibile con il simbolo storicamente utilizzato dai Verdi-Grüne-Verc in precedenti elezioni"; il partito si è anche riservato di proporre "formale opposizione a ogni deposito presso il Ministero dell’interno di un simbolo graficamente confondibile con quello dal partito fino ad ora utilizzato".
Chi segue questo sito potrà facilmente verificare che nell'articolo di febbraio in cui si era presentato il progetto di lista (a firma di Marco Chiumarulo) era stato già messo in luce l'uso precedente del tema grafico "colomba della pace", proprio con riferimento al simbolo ormai consolidato dei Verdi del Sudtirolo: si può ora riconoscere senza alcun problema che quel gruppo politico opera - come il suo sito internet indica - dal 1979, anche se il partito come soggetto giuridico è stato fondato nel 1996; certamente precedente rispetto a quella data è l'uso di una colomba mutuata direttamente dalla "colomba blu" di Picasso ma senza il rametto d'ulivo nel becco - così la si vede in due contrassegni depositati dai Verdi nel 1992 al Viminale e non ammessi - e in seguito leggermente ridisegnata (ma davvero poco).
Non si mette di certo in dubbio l'uso della colomba da parte della lista di Santoro e La Valle, né la comune ispirazione a creazioni di Picasso (anche se in effetti in origine il disegno di ispirazione era un altro e non risulta che in passato siano state poste obiezioni dai Verdi del Sudtirolo); è vero anche che il disegno della colomba di Pace Terra Dignità - comunque diverso rispetto a quello adottato dai Verdi-Grüne-Verc, nella forma del corpo e delle ali e per la presenza del ramo d'ulivo - è centrale all'interno del contrassegno come lo è nel simbolo sudtirolese. Bisogna però anche notare che l'uso del simbolo dei Verdi-Grüne-Verc, pur certamente consolidato, è limitato al territorio della provincia di Bolzano; l'inserimento del partito dei Verdi del Sudtirolo nel registro dei partiti politici (con il simbolo incluso nello statuto) è sicuramente un segno di stabilità e un mezzo di maggiore notorietà, ma non esclude in pieno le altre forze politiche dall'uso dello stesso tema grafico.
Quest'ultima questione, tra l'altro, è ben nota a Rifondazione comunista, che dall'autunno del 1998 ingaggiò una vera e propria battaglia con il Partito dei comunisti italiani di Oliviero Diliberto e Armando Cossutta
, lamentando la somiglianza del simbolo del neonato Pdci (con doppia bandiera falce-martello e tricolore, senza aste, su fondo bianco) con quello del Prc (che aveva solo la bandiera rossa con falce e martello, senza tricolore e con asta, ma sempre su fondo bianco). Alle amministrative del 1998 alcune commissioni negarono la confondibilità, altre la riconobbero e chiesero ai cossuttiani di ritoccare il contrassegno; nel 1999 il Viminale ammise entrambi i simboli, ma l'Ufficio elettorale nazionale per il Parlamento europeo riconobbe che la presenza di segni simili con scritte nere su fondo bianco potesse creare confusione, per cui invitò il Pdci a modificare quegli elementi, non invece la bandiera con falce e martello. La modifica fu fatta (scritte bianche su fondo blu, poi scritte blu su fondo azzurro) e da lì in avanti tutte le opposizioni presentate da Rifondazione comunista furono respinte.
Quanto alla colomba, bisogna ricordare che nel corso degli anni vari partiti hanno adottato rappresentazioni di quel volatile come simbolo
, a partire dal Movimento per l'autonomia (con i suoi vari nomi utilizzati nel corso del tempo), così come ricorre spesso in varie liste presenti alle elezioni amministrative: non è dato sapere se i Verdi del Sudtirolo si siano lamentati con queste forze politiche per l'uso della colomba, ma è facile riscontrare l'impiego continuato e diffuso di quel simbolo, anche perché non sono stati certo i Verdi-Grüne-Verc a coniare l'uso della colomba per riferirsi alla pace.  
La legge, insomma, non prevede un'esclusiva sul tema grafico (sul significato, in termini semiotici), ma sullo specifico disegno utilizzato (sul significante), così come richiede che la confondibilità non sia creata dal contesto visivo (dunque dai colori dello sfondo, dalle scritte...). A fronte di un elemento non irrilevante di somiglianza, quindi, esistono vari elementi di distinzione dei contrassegni altrettanto innegabili: come nel 1999, nella querelle tra Rifondazione comunista e Partito dei comunisti italiani, fu ritenuto sufficientemente distintivo sostituire il colore dello sfondo, in questo caso lo sfondo è profondamente diverso (il rosso è addirittura il colore complementare del verde) e il testo, pur essendo bianco, è completamente differente nel contenuto e nel carattere.
La certezza sull'uso indisturbato del simbolo della colomba della pace, però, ovviamente non può essere data né ottenuta a priori. Di sicuro, se in questa fase si decidesse di cambiare simbolo per evitare contestazioni, si metterebbe seriamente a rischio il valore delle firme raccolte fino a questo momento, perché sarebbe facile per gli uffici elettorali rilevare la differenza dei contrassegni (anche solo nella rappresentazione: la descrizione magari resterebbe la stessa) e contestare la cumulabilità delle sottoscrizioni. Diverso sarebbe il discorso se si proseguisse la raccolta firme con il simbolo inizialr preparando nel frattempo un contrassegno alternativo: questo verrebbe tenuto da parte e, in caso di invito alla sostituzione da parte del Viminale, sarebbe pronto per la presentazione, sapendo che in quel caso le firme raccolte a sostegno delle liste fino al momento della sostituzione sarebbero ancora perfettamente valide (anche se in passato è capitato che in prima istanza le liste fossero ricusate per le differenze nei contrassegni, salvo poi essere riammesse dalla Cassazione). 
Si tratta, in ogni caso, di un inghippo che la lista Pace Terra Dignità avrebbe evitato volentieri: si vedrà nelle prossime ore se la questione avrà sviluppi, anche di natura grafica.

giovedì 21 marzo 2024

Europee, Civici (Pirozzi), Popolo veneto e Ultimo con Sud chiama Nord

Si è celebrato stamattina il terzo appuntamento con le conferenze stampa presso la Camera della lista Libertà promossa in vista delle prossime elezioni europee da Sud chiama Nord e dal suo leader, Cateno De Luca: il quadro simbolico si è fatto più completo, oltre che più complesso. Il contrassegno elettorale, infatti, ha visto riempirsi due dei cerchi bianchi visti finora, ma altri due hanno cambiato posto e dimensione e sono comparsi gli spazi per altre due "pulci" in miniatura, uno delle quali è già stato occupato. È probabile che il contrassegno cambi ancora da qui a un mese (il deposito al Viminale è previsto dal 21 al 22 aprile), ma per ora si è di fronte a uno degli emblemi più affollati della storia, quasi certamente a quello più ricco di simboli della serie delle elezioni europee (il record probabilmente è detenuto dal fregio dell'Alleanza Nord presentato dalla Lega Lombarda nel 1989).
Fa il suo ingresso nella compagine Libertà la formazione I Civici in Movimento, rappresentata al tavolo di relazione dall'ex sindaco di Amatrice (2009-2018, periodo funestato dal sisma del 2016) ed ex consigliere regionale del Lazio (2018-2023) Sergio Pirozzi, indicato come presidente federale del soggetto politico: all'evento di oggi hanno partecipato anche la dottoressa Desirée Merlini, consigliera e già assessora di Monza, Giovanni Sgroi (medico anch'egli),  sindaco di Rivolta d'Adda e Luigi Abbate, consigliere di Taranto e coordinatore federale dei Civici in Movimento. "Ho accettato di rappresentare i civici - ha spiegato Pirozzi - perché vengo da lì, da un mondo che in politica e nelle istituzioni arriva a un certo punto e poi si ferma, perché non ha una rappresentanza strutturata: occorrono altri passaggi nei quali ci si accorge che le istanze dei territori e di chi sta sul campo non sono considerate". 
Il simbolo, probabilmente di conio assai recente e collocato al centro del contrassegno, subito al di sotto della parola "Libertà", pone in evidenza la parola "Civici" mentre in filigrana s'intravede "l'impronta non di un mocassino, ma di uno scarpone, perché chi è civico e lavora sui territori sa quali sono i problemi delle persone": del resto l'impronta dello scarpone - allora rossa - era stata l'elemento caratterizzante della lista Sergio Pirozzi presidente, con cui lo stesso Pirozzi era stato eletto nel 2018 in consiglio regionale (mentre nel 2019 poco prima delle europee si erano mossi i primi passi di un'altra creatura pirozziana, Siamo l'Italia, con cuore d'Italia e tricolore su fondo blu). "Credo che questa sia una giusta battaglia - ha aggiunto Pirozzi - la nostra sfida è portare qualcuno in Europa per rappresentare le istanze dei civici. Sarà dura, ma alle mie squadre, amministrative o sportive, ho sempre detto che l'importante è arrivare al traguardo con la maglia sudata. Lo faremo sforzandoci in campagna elettorale, aprendo la campagna ad Amatrice, raccontando le vere storie dei territori, anche quelli in cui la ricostruzione dopo il terremoto non è arrivata, a differenza di quel che raccontano i media: altro che un 'mondo al contrario', siamo un mondo a parte, non viene più raccontato. Sono tornato, deluso un po' da Matteo Salvini, ma molto di più da Giorgia Meloni, che ha tradito molti principi".
Ha partecipato alla conferenza stampa anche Vito Comencini, 36 anni, della provincia di Verona, deputato leghista nella scorsa legislatura e da dicembre presidente dell'Associazione Popolo Veneto: "Sud chiama Nord e il nord risponde, anzi, il regno delle due sicilie chiama e le terre della Repubblica Serenissima rispondono - ha spiegato - Devo ringraziare Roberto Castelli per la mia presenza qui, perché lui è partito per primo, ma noi portiamo qualcosa in più, appunto le terre della Serenissima. Popolo Veneto è un movimento nato da poco ma con la grande ambizione di lottare: ci sono tante battaglie valoriali, identitarie, di sovranità, a difesa di molte categorie che non si sentono rappresentate, c'è chi aveva creato aspettative su queste battaglie e poi le ha tradite. Non si poteva stare a guardare, pensando semplicemente alle europee in cui il 50% o il 60% delle persone non vota perché non trova rappresentate le proprie idee: un'alternativa bisognava darla, riprendendo la battaglia non solo dell'autonomia, ma del federalismo, di cui più nessuno parla, e anche gli amministratori locali meritano risposte dallo Stato e dall'Unione Europea".
Se l'emblema ufficiale dell'associazione Popolo Veneto include una statua di San Marco evangelista con a fianco un leone accovacciato, inserita in un fumetto giallo collocato su fondo blu (i colori di Verona) e con la dicitura "Sovrano e identitario" al di sotto del nome dell'ente, per l'occasione la statua a due figure è stata sostituita da una delle immagini del leon de guera, vale a dire il leone con la zampa sul Libro chiuso e la spada brandita con l'altra zampa anteriore. Si tratta dello stesso tema presente nel simbolo leghista, con l'immagine del leone riportata dal 1997 sullo scudo del guerriero di Legnano. La miniatura del simbolo occupa il cerchio nella parte superiore, a sinistra di Sud chiama Nord, nel posto che prima era stato del Movimento per l'Italexit (il cui fregio è stato spostato nella parte inferiore, sempre a destra); a destra di Sud chiama Nord ora si trova il simbolo del Partito popolare del Nord, prima collocato nella parte inferiore al centro (e sono cambiate anche le dimensioni, ora ridotte). 
Nel contrassegno non ha trovato posto (e non è un caso) il simbolo di Rassemblement valdôtain, movimento politico costituito a novembre dello scorso anno, "indipendente da qualsiasi altro partito politico esistente e riconosce come suo primo obiettivo quello di difendere liberamente, senza alcuna remora, gli interessi di tutti i valdostani siano essi di nascita, adozione o scelta" (così era scritto nella nota di presentazione), partendo da quattro consiglieri regionali eletti con la Lega nel 2020. "Siamo un piccolo partito - ha detto il presidente Davide Bionaz - nato subito dopo l'estate, grazie a persone che nella loro storia personale hanno sempre difeso l'autonomismo valdostano, che significa difendere e propagare in Italia, in Europa e nel Mondo le idee del federalismo e dell'Europa dei popoli: solo loro rappresentano loro specificità, linguistiche, alimentari e culturali, un patrimonio che rischia di andare disperso e non viene considerato. Noi abbiamo trovato una totale assonanza di idee con Sud chiama Nord, Cateno De Luca e Roberto Castelli; il patrimonio dell'autonomia e del federalismo è stato disperso e negli ultimi mesi calpestato dalla semplice idea che la difficoltà di eleggere, per le norme in vigore, un rappresentante valdostano:  L'Italia è un paese di montagne, dal Monte Bianco alle Cime di Lavaredo all'Etna: è un territorio difficile, quelle difficoltà vanno riconosciute e chi le ha va aiutato e premiato, innanzitutto con i soldi dell'Europa". 
Il simbolo del Rassemblement valdôtain schiera, su fondo rosso, un leone rampante bianco stilizzato, con coda biforcuta; quell'emblema sarà visibile nella sola circoscrizione Nord-Ovest, perché l'idea è di presentare una lista espressione della minoranza francese, da collegare a Sud chiama Nord - Libertà per il cumulo dei voti e l'eventuale assegnazione dei seggi. Occorre però notare che non sono previste dalla legge esenzioni per le minoranze linguistiche, per cui la lista non risulta essere esente dalla raccolta firme (a meno che improvvisamente in quel contrassegno non spunti qualche pulce di partito esente...), dunque su questa si dovrebbero raccogliere almeno 15mila firme, 1500 delle quali in Valle d'Aosta.
Ha invece trovato posto nel contrassegno, anche a costo di aggiungere due "pallini" più piccoli, l'emblema bianco e nero con la dicitura-nome Capitano Ultimo. Questo perché tra i candidati della lista ci sarà anche Sergio De Caprio, appunto il "capitano Ultimo", a lungo impegnato come carabiniere in operazioni antimafia e "arrestatore" di Totò Riina e vari altri criminali: nome votato da Fratelli d'Italia nel 2013 alle elezioni del Presidente della Repubblica e assessore regionale alla tutela dell'Ambiente in Calabria dal 2020 al 2021, De Caprio è - salvo errore - alla sua prima candidatura e, per quanto se ne sa, è uno dei pochissimi riferimenti grafici a un singolo candidato che concorre alla formazione di una lista. "Ultimo - ha proclamato Cateno De Luca - è la Storia, ma non può essere solo questo: rappresenta, non solo per la Sicilia, quel pezzo di Stato che ha chiuso una fase, arrestando un macellaio, non un semplice criminale. Non vogliamo solo la sua candidatura, ma che nel nostro brand ci sia un messaggio chiaro ai mafiosi e ai voti della mafia, non vogliamo né gli uni né gli altri".
De Luca ha anche illustrato altri aspetti del progetto di "alleanza ampia che ha come comune denominatore meno Europa, più sovranità, più autonomia, più equità. Sud chiama Nord è da sempre civico e federalista: vista la mia storia e le mie vittorie contro i partiti posso dare lezioni di civismo, per questo costruiamo la prima rete civica nazionale, per diventare protagonisti con un brand ben preciso. Stiamo continuando a contaminare di democrazia un sistema oligarchico, senza temere il fatto che un giorno chi sta camminando con noi possa candidarsi contro di noi. Per noi questo progetto rappresenta lo Sbarco dei Mille al contrario: da mille a maggio vogliamo arrivare a un milione a giugno. Dico a chi ha discusso con noi finora e non ha ancora scelto di unirsi alla lista Libertà che c'è ancora tempo: vi aspettiamo, il fronte della Libertà deve volare alto sopra i personalismi, speriamo che la Pasqua faccia riflettere".
"Il mondo civico - ha spiegato Laura Castelli - è nelle radici di Sud chiama Nord, perché nasce dal civismo concreto, fatto di persone che nella loto vita hanno fatto e continuano a fare attività nelle loro amministrazioni. Oggi presentiamo l'unione di persone e di civiche che per la prima volta stanno insieme in uno strumento nazionale, messo a disposizione con generosità. Poi abbiamo l'onore di continuare a costruire sul Nord, con un progetto importante che schiera il simbolo del leone ben noto ai veneti, in rappresentanza di un Nord abbandonato e anche un po' tradito. Con noi c'è anche una parte importante della Valle d'Aosta e c'è anche 'Capitano Ultimo': siamo felici che anche lui aderisca a questo progetto, vuol dire che siamo sulla strada giusta".
Nell'attesa di scoprire quali saranno gli altri simboli che completeranno il contrassegno di Libertà, non sfugge ai #drogatidipolitica l'evento di presentazione della nascente lista a Milano: si terrà sabato 23 marzo (ore 11) all’Hotel Cavalieri, l'hotel di Roberto Bernardelli, con una lunga storia prima nella Lega Nord, poi in altre formazioni autonomiste e "nordiste" (fino a Grande Nord). "Sono sempre stato affascinato dalla prima Lega - ha detto sempre Cateno De Luca in conferenza Stampa - non dalla Lega salottiera di Matteo Verdini, che non mi interessa. Il nostro slogan sarà Roma Ladrona: i leghisti di Salvini non lo possono dire perché sarebbe come dare del ladrone a Salvini". Il tempo per riempire gli spazi vuoti c'è ancora, chissà chi spunterà...

sabato 16 marzo 2024

Europee, Alternativa popolare con il Ppe e Bandecchi nel simbolo

Sin dall'inizio di febbraio Stefano Bandecchi, coordinatore nazionale di Alternativa popolare, non ne aveva fatto mistero: il Parlamento europeo era la meta cui puntare. Il 27 e il 28 gennaio, al primo congresso programmatico del partito, era stato "ufficializzato" grazie alla scenografia l'ingresso del riferimento testuale al Partito popolare europeo all'interno del simbolo (proprio all'interno del cuore dal contorno giallo che richiama il logo del Ppe, il cui cuore con le stelle uso non era stato consentito dal partito europeo già nel 2016, quando il soggetto politico italiano fondato da Angelino Alfano formalmente si chiamava ancora Nuovo centrodestra ma usava alternativamente il nome Area popolare). Il 9 febbraio, all'indomani dell'annuncio delle sue dimissioni da sindaco di Terni (poi ritirate una settimana più tardi), Bandecchi aveva poi annunciato la sua candidatura come capolista alle elezioni europee in tutte le circoscrizioni, contando di raggiungere e superare il 4%: il compito sarebbe stato arduo, ma se non altro la lista avrebbe potuto partecipare alle elezioni senza dover raccogliere le firme, in virtù dell'adesione di Ap al Ppe (che ovviamente nel 2019 ha ottenuto seggi europei, anche in Italia) e della "via europea" aperta dalla decisione dell'Ufficio elettorale nazionale nel 2014 dopo il ricorso della Federazione dei Verdi - Verdi europei e sfruttata nel 2019 proprio da Alternativa popolare per esentare la lista condivisa con il Popolo della famiglia
Quando però, il 15 febbraio, si era diffusa la notizia dell'emendamento presentato da Fratelli d'Italia per ridurre sensibilmente le esenzioni dalla ricerca dei sottoscrittori, facendo balenare l'ipotesi che la strada dell'esonero non fosse più percorribile per i partiti che avevano eletto parlamentari nei collegi uninominali e per quelli legati a partiti politici europei rappresentati a Strasburgo, Stefano Bandecchi aveva reagito in fretta: "L'emendamento presentato dai senatori di Fdi Lisei, Della Porta, De Priamo e Spinelli alla Legge di conversione del Dl sull'Election Day, per modificare i criteri di esenzione dalla raccolta firme per le imminenti elezioni europee, è degno dell'Ungheria dell'amico (loro) Orban, non di uno Stato democratico e libero. [...] Una norma contra personam, contro Stefano Bandecchi e Alternativa Popolare. Fino a oggi, come forza appartenente al Ppe, eravamo esentati dalla raccolta firme, come previsto dalla legge; da domani, se approveranno questo emendamento porcata, non avremo più questo diritto. Non abbiamo certamente paura di questa sfida, però questo nega un diritto acquisito e, quindi, ci riserviamo di avviare tutte le azioni necessarie per evidenziare una gravissima lesione di diritti riconosciuti sia in Costituzione che nel Diritto Comunitario. È una norma antidemocratica, di compressione del diritto di rappresentanza, di eliminazione per via legislativa – anzi, emendativa – di un soggetto e di una componente politica". 
Si è visto come pure altre forze politiche, come Sud chiama Nord, avessero parlato di norma scritta contro di loro, per farle fuori dalla competizione europea. Se però pochi giorni dopo la riformulazione dell'emendamento di Fdi aveva restituito l'esenzione alle forze politiche che avevano eletto anche solo un deputato o un senatore nei collegi uninominali (per la soddisfazione di Cateno De Luca, oltre che di +Europa e di altri soggetti politici), non potevano dirsi altrettanto soddisfatti i partiti italiani che - privi di propri eletti alle Camere o al Parlamento europeo - contavano di presentare liste grazie alla loro affiliazione ai rispettivi partiti europei; il testo dell'emendamento manteneva tra i requisiti per l'esenzione l'aver eletto europarlamentari in Italia, dunque avere partecipato alle ultime elezioni europee e aver superato la soglia di sbarramento. Lo 0,43% raccolto dalla lista Alternativa popolare - Il Popolo della famiglia non era chiaramente sufficiente ad eleggere europarlamentari, quindi la strada dell'esenzione per Bandecchi era rimasta sbarrata. 
Nei giorni successivi, in ogni caso, Ap ha intensificato la propria attività, rimarcando il sostegno alla candidatura di Riccardo Corridore - vicesindaco di Terni, dunque vice di Stefano Bandecchi, e coordinatore umbro del partito - alla guida della giunta regionale dell'Umbria, ma soprattutto ha inserito il riferimento a Bandecchi all'interno dei futuri contrassegni elettorali: vale tanto per l'emblema da schierare sulle schede umbre, quanto per il contrassegno che quasi certamente arriverà al Viminale tra il 21 e il 22 aprile. Il simbolo, presentato il 5 marzo, oltre all'espressione "con Bandecchi" (la cui evidenza ha costretto a ridurre di dimensioni il nucleo del fregio del partito), contiene il logo ufficiale del Ppe nella parte inferiore, quasi a ripetere il riferimento già inserito poche settimane prima nel cuore giallo del partito (colore che evidenzia anche le iniziali del Ppe). Il legame con il partito europeo è stato ribadito con la presenza, il 7 marzo, al congresso del Ppe a Bucarest del presidente di Alternativa popolare, Paolo Alli (proprio lui aveva concesso il simbolo a Mario Adinolfi nel 2019); il giorno dopo, in compenso, la scena se l'è ripresa Bandecchi, annunciando - in un'intervista alla Nazione - la propria candidatura come "ultimo nome" perché non avrebbe intenzione di andare a Strasburgo, "non posso tradire il patto che ho fatto con gli elettori ternani. Devo continuare a esercitare il mio ruolo di sindaco, così come mi sono impegnato a fare". 
In quella stessa intervista ha ricordato il percorso dell'emendamento di Fdi (allora solo approvato in commissione al Senato), sottolineando di non vedere quella futura disposizione "in forma restrittiva. Possiamo partecipare alle Europee senza raccolta di firme, perché siamo iscritti al Ppe. I politici italiani hanno dimostrato di nuovo di avere paura di Bandecchi e di Ap". Difficile capire come si possa conciliare l'auspicio di esenzione grazie all'iscrizione al Ppe con la richiesta - in base all'ormai quasi vigente testo della legge sulle elezioni europee - di essere un partito "che nell'ultima elezione [abbia] presentato candidature con proprio contrassegno ed [abbia] ottenuto almeno un seggio in una delle circoscrizioni italiane al Parlamento europeo, e che [sia] affiliat[o] a un partito politico europeo costituito in gruppo parlamentare al Parlamento Europeo nella legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi elettorali". L'affiliazione al Ppe (con proprio gruppo parlamentare europeo) c'è, la partecipazione alle elezioni europee del 2019 pure, il seggio ottenuto in quell'occasione nelle circoscrizioni italiane invece no. 
Scartata l'ipotesi di accordi con Matteo Renzi ("Non ha realizzato il brand di centro ma si presenta con Italia Viva", ammesso che non vada in porto la lista comune con +Europa ed altre forze) o con Forza Italia ("Ha deciso di andare da sola perché non vuole dividere il simbolo Ppe con Alternativa popolare"), Bandecchi presenterà alla stampa e al corpo elettorale le liste la mattina del 20 marzo alla sala Capranichetta: prima di partire con il camper per la campagna elettorale, è già stata annunciata la presenza come capolista dell'ex magistrato Luca Palamara, indicato come capolista nella circoscrizione Centro. Certo, sarebbe curioso capire se nel frattempo il partito tirerà dritto sulla sua idea di avere diritto all'esenzione o cercherà comunque di raccogliere le firme, per mettere minimamente al sicuro la partecipazione. Di certo la notizia dell'approvazione al Senato del disegno di legge di conversione del "decreto elezioni 2024", con l'emendamento ricordato ma anche il dimezzamento delle sottoscrizioni necessari, non è sfuggita a Bandecchi, che giovedì mattina ha postato il video della partenza del suo camper commentando "Stanotte qualcuno si è messo a fare le solite leggi, come dire, notturne". I candidati e i dirigenti di Alternativa popolare proveranno a sfruttare il taglio delle firme o rischieranno la via dell'esonero, con il pericolo - quasi certo - che gli uffici elettorali sbarrino la strada verso le schede e le urne?

giovedì 14 marzo 2024

Europee, Movimento per l'Italexit con De Luca (ma già diffidato)

L'aveva annunciato Cateno De Luca, nel corso dell'assemblea nazionale di Sud chiama Nord all'inizio di marzo: ogni giovedì di quel mese avrebbe tenuto una conferenza stampa alla Camera, presentando via via le forze politiche che avrebbero accettato di concorrere alla formazione della lista Libertà, che parteciperà alle elezioni europee dell'8 e 9 giugno senza dover raccogliere le firme (in virtù dell'esenzione legata all'elezione di due parlamentari che la seconda versione dell'emendamento di Fratelli d'Italia al "decreto elezioni 2024" ha preservato). Quest'oggi, in effetti, il segretario De Luca è tornato nella sala stampa di via della Missione a Roma insieme al deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo, la presidente del partito Laura Castelli e due ospiti, Giampaolo Bocci e Giuseppe Sottile.
Se ai più questi due nomi possono dire poco, occorre sapere che si tratta di persone che fino a poco tempo fa erano dirigenti di Italexit, il partito fondato da Gianluigi Paragone e dal quale il giornalista ed ex senatore si è dimesso il 29 dicembre 2023, dopo un non breve confronto interno; oggi sono intervenute come rappresentanti di un nuovo soggetto politico, denominato Movimento per l'Italexit. "In questo periodo di preparazione della lista per le europee - ha detto Laura Castelli - capita sempre più spesso di ritrovare persone incontrate dieci o quindici anni fa, che nel tempo hanno preso strade politiche diverse ma con cui ora ci si ritrova a parlare di ciò che è accaduto ed è cambiato in questo periodo. È il caso di Giampaolo Bocci e non credo sia un caso: in questa fase in cui c'è chi non ha più la libertà di parlare e chi la rivendica, essere di nuovo compagni di strada è naturale". 
Bocci (fondatore del Movimento per l'Italexit con Andrea Andreson e Carlo Carassai) ha spiegato come molti di coloro che erano coordinatori locali o regionali di Italexit, nonché ex candidati alle elezioni politiche del 2022 in queste settimane hanno abbandonato il partito, aderendo al nuovo soggetto politico. "Con la federazione Libertà ci impegniamo a lavorare per un'Italia più giusta, più libera e sovrana. Siamo un nuovo capitolo, ma fondato su basi solide; con noi c'è anche Luciano Bosco, ex coordinatore organizzativo nazionale di Italexit". "Noi abbiamo partecipato alle elezioni politiche con un partito che si chiamava Italexit con Paragone - ha aggiunto Sottile, già membro della direzione nazionale -. Fuori da ogni ipocrisia, quell'esperienza politica per me è finita con le dimissioni di Gianluigi Paragone. Oggi c'è un gruppo di persone volenterose che cerca di portare avanti quel progetto: tra loro c'è il mio amico Andrea Perillo e lo invito a valutare l'opportunità di partecipare a questa battaglia, ma c'è anche una comunità che si riconosce nelle persone citate da Bocci e che oggi si ritrova nel Movimento per l'Italexit".
Sembrano avere in realtà tutt'altra intenzione i continuatori di Italexit, anzi, di Italexit per l'Italia (il nome ufficiale, da statuto, era quello da tempo, benché spesso fosse usata la prima parte abbinata al nome di Paragone), a seguito di una direzione generale che si è svolta il 12 febbraio: "Era importante - si è letto allora in un comunicato - fornire a tutti i nostri iscritti e simpatizzanti, e in generale a chi ci segue con interesse, un chiaro segnale della volontà politica di proseguire nel nostro cammino". La riorganizzazione del partito è passata attraverso la nomina di un Consiglio di reggenza (composto da Antonino Iracà, Roberto Robilotta e Andrea Perillo) con funzioni di rappresentanza politica e di portavoce nazionali e l'istituzione di un coordinamento organizzativo nazionale (presieduto dai responsabili Cristiano Zatta e Fabio Montorro).
Proprio il citato Consiglio di reggenza di Italexit per l'Italia questa mattina ha diffuso un comunicato, emesso "a seguito delle numerose segnalazioni [...] pervenute, che vedrebbero alcuni soggetti tentare di proporsi e interfacciarsi con il nostro elettorato e con altre forze politiche a nome di Italexit". "Diffidiamo chiunque - vi si legge - nel vano tentativo di accreditarsi millantando di poter disporre del simbolo e del nome del partito in maniera impropria e deliberata senza di fatto averne alcun titolo e alcuna autorizzazione, di operare a nome o per conto di Italexit per l’Italia". Per reagire a "qualsiasi distorsione e ingannevolezza in merito all'utilizzo illegittimo del nome o del simbolo del partito", il Consiglio di reggenza precisa che "esiste un solo e unico partito Italexit per l'Italia, pertanto eventuali comitati e movimenti estemporanei e improvvisati che dovessero presentarsi in nome e per conto di Italexit, sono da ritenersi del tutto estranei al nostro partito e totalmente privi di qualsivoglia legittimità. Il nostro partito è inoltre operativo e riconoscibile esclusivamente attraverso i suoi riferimenti ufficiali reperibili sul sito internet di Italexit per l'Italia". Il comunicato si conclude prospettando azioni legali: "Abbiamo già dato mandato ai nostri legali di procedere in sede civile e penale, con relativa richiesta di risarcimento danni, contro chiunque dovesse utilizzare indebitamente, anche solo parzialmente e con qualsiasi elemento riconducibile ad Italexit per l'Italia, il nostro nome e il nostro simbolo".
Nella conferenza stampa di oggi Cateno De Luca ha brevemente commentato la reazione ufficiale di Italexit ("Vengo dalla Sicilia, sono abituato a ben altro, questi comunicati di diffida mi fanno il solletico; grazie anzi per la pubblicità che ci viene fatta con questa diffida, spero non ci arrivi la fattura..."); al di là di questo, è facile notare che il simbolo creato per distinguere il Movimento per l'Italexit - cerchio blu sfumato, nome maiuscolo bianco con "Italexit" in evidenza (e la X conformata in modo da far emergere una freccia) e ondina tricolore in basso - è oggettivamente diverso e graficamente non confondibile rispetto all'emblema di Italexit per l'Italia. Il simbolo riempie uno dei quattro cerchietti inseriti nel contrassegno elettorale provvisorio della lista Libertà - Sud chiama Nord: le dimensioni sulla scheda non rendono quella miniatura particolarmente visibile, anche se certamente l'elemento che spicca in quel piccolo cerchio è la parola Italexit.
Posto che il Movimento per l'Italexit appare qualificarsi come soggetto distinto dal partito Italexit per l'Italia (non agisce cioè in suo nome e per suo conto), resta la questione del possibile uso indebito, anche solo parziale, del nome di Italexit per l'Italia. La questione non è di immediata soluzione per varie ragioni. Da un lato si può ricordare che lo stesso Gianluigi Paragone, prima di presentare in conferenza stampa il partito Italexit a luglio del 2020, fu oggetto di una diffida: la presentò Teofilo Migliaccio, allora a capo di un partito già denominato (dal 2019) Italexit e che nella grafica riprendeva il Brexit Party di Nigel Farage. Paragone all'epoca incaricò uno studio legale di replicare, sostenendo che "Italexit è un termine generico, che si inserisce in quell'insieme di parole coniate per l'ultimo decennio per identificare quei movimenti economico-politici rappresentativi del sentimento di euroscetticismo, secondo cui, per migliorare le condizioni di un paese, è necessario riacquistare la piena sovranità", al punto tale che il Vocabolario Treccani ha accolto il neologismo nel 2016. Ugualmente facile è notare che nella banca dati dell'Ufficio italiano brevetti e marchi, tra il simbolo del partito che fu di Migliaccio (rifiutato come marchio probabilmente per la questione - più volte analizzata - della forma rotonda, ritenuta in conflitto con le norme elettorali) e il primo logo depositato come marchio da soggetti riconducibili a Gianluigi Paragone  risultano altri due segni distintivi contenenti in rilievo la parola "Italexit", che dunque si potrebbe effettivamente considerare di uso comune. Dall'altro lato, tuttavia, non si può trascurare come Italexit per l'Italia sia stato rappresentato in Parlamento nella scorsa legislatura con propria componente al Senato (costituita grazie al sostegno tecnico del Partito valore umano) e, proprio in virtù di questo, abbia ottenuto l'inserimento nel Registro dei partiti politici previsto dal decreto-legge n. 149/2013: questi elementi potrebbero in qualche modo rafforzare la posizione di Italexit per l'Italia, vista la tutela che normalmente è accordata - specie in caso di scissione - ai partiti la cui presenza parlamentare, pur non più attuale, è comunque vicina nel tempo. 
Con riferimento alle elezioni europee, in ogni caso, toccherà al Ministero dell'interno decidere sull'ammissibilità del contrassegno composito di Sud chiama Nord - Libertà, anche con riguardo alle sue singole parti, inclusa la miniatura del Movimento per l'Italexit. Non è nemmeno impossibile che, visto il concorso di questo movimento alla lista promossa da Cateno De Luca, qualche rappresentante di Italexit per l'Italia si metta in fila al Viminale già il 21 aprile, con l'idea di depositare il proprio contrassegno e opporsi all'eventuale ammissione del simbolo elettorale di De Luca. Che nel frattempo si sarà completato con l'inserimento di altri soggetti politici.

mercoledì 13 marzo 2024

Senato, l'aula discute sul decreto elezioni 2024, tra europee e comunali: resta la stretta alle esenzioni, ma firme dimezzate "una tantum"

Oggi risulta essere una giornata cruciale per la definizione delle regole da applicare alle ormai prossime elezioni europee (8-9 giugno 2024). L'assemblea del Senato, infatti, ha oggi esaminato il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 7/2024 ("decreto elezioni 2024"), incluse le disposizioni relative alla raccolta firme e all'esenzione da quell'onere. 
La discussione merita anche questa volta di essere analizzata, benché abbia fatto irruzione nel dibattito la proposta della Lega che ha ripresentato l'emendamento per consentire il terzo mandato consecutivo ai presidenti delle giunte regionali e ne ha presentato un altro volto ad abbassare al 40% la quota sufficiente a essere eletti sindaci al primo turno nei comuni sopra i 15mila abitanti, di fatto evitando il ballottaggio (dopo il primo tentativo - poi rientrato - in sede di discussione sempre a Palazzo Madama del testo sulle elezioni nei piccoli comuni, in quel caso su proposta prima di Forza Italia, poi di tutto il centrodestra).  
 

Gli ultimi passaggi in Commissione

Dopo l'approvazione, il 5 marzo, della nuova versione dell'emendamento di Fdi che riduceva le ipotesi dell'esenzione dalla raccolta delle firme - precludendo in particolare l'esonero a forze che non avessero ottenuto l'elezione di deputati, senatori ed europarlamentari nelle circoscrizioni italiane - la discussione sulla conversione in legge del "decreto elezioni 2024" è proseguita il giorno dopo in Commissione Affari costituzionali, in particolare sull'emendamento di Forza Italia - accantonato nelle ultime sedute -volto a limitare l'ineleggibilità a consigliere regionale ai soli dipendenti della Regione che svolgano funzioni e attività amministrative. La seconda riformulazione (dunque il terzo testo) aveva incontrato la netta contrarietà di Pd (con Dario Parrini), M5S (con Alessandra Maiorino) e Italia viva (con Dafne Musolino), per i quali aver qualificato quella disposizione come di interpretazione autentica avrebbe costituito lo strumento per "salvare" dalla decadenza consiglieri regionali attualmente in carica.
Nella seduta del 6 marzo, dunque, la sottosegretaria all'interno Wanda Ferro ha chiesto la terza riformulazione: "Fermo restando quanto previsto dall'articolo 274, comma 1, lettera l), del decreto legislativo 18 luglio 2000, n. 267, la causa di ineleggibilità prevista ai fini dell'elezione a consigliere regionale dall'articolo 2, primo comma, numero 7) della legge 23 aprile 1981, n. 154, si applica esclusivamente ai dipendenti della regione che svolgano, al momento della candidatura al rispettivo consiglio, funzioni e attività amministrative". Dalla rubrica dell'articolo era però sparito il riferimento all'interpretazione autentica: si è così ritenuto non più necessario specificare che la disposizione sarebbe stata applicata (solo) dalla data di entrata in vigore della legge di conversione. Il testo - inapplicabile retroattivamente, secondo le spiegazioni della sottosegretaria sollecitate da Parrini e Andrea Giorgis, anche sulla base di varie sentenze recenti della Corte costituzionale - avrebbe consentito l'eleggibilità dei dipendenti regionali con mansioni solo esecutive (non amministrative), restando invece ineleggibili i componenti degli uffici di staff e i consulenti (applicandosi per costoro le norme dettate per i titolari di qualifiche dirigenziali). La riformulazione, accettata dal senatore forzista Claudio Lotito, non aveva dissipato i dubbi del M5S, del Pd e di Alleanza Verdi e Sinistra, che non hanno partecipato al voto: costoro avevano avanzato dubbi sulla proponibilità dell'emendamento (ritenuto estraneo alla materia del decreto), ritenendo inopportuno introdurre una disciplina sulle ineleggibilità diversa rispetto a quella prevista per comuni e province dal Testo unico per gli enti locali (per cui i rispettivi dipendenti non si possono candidare, se non si mettono in aspettativa non retribuita entro la presentazione delle candidature) e che - per la tesi dell'opposizione - parrebbe volta a soddisfare "interessi personali non bene individuati" o a risolvere "i problemi di un numero ristretto di beneficiari", derogando alla disciplina vigente che consente ai dipendenti di potersi candidare, purché si mettano in aspettativa, "proprio a tutela dell'ente di appartenenza". In votazione l'emendamento era comunque stato approvato.
Ieri sera la commissione ha completato l'esame degli emendamenti (con l'approvazione delle proposte di modifica di natura finanziaria formulate su richiesta della commissione Bilancio) e si è espressa sul mandato al relatore (che è lo stesso presidente di commissione Alberto Balboni, di Fdi). In quella sede, se Azione (attraverso Mariastella Gelmini) si è astenuta, preannunciando la presentazione di proposte volte ad estendere ai lavoratori fuori sede, ai malati e a coloro che prestano loro cura la possibilità del "voto fuori sede", Italia viva (con Dafne Musolino) ha fatto altrettanto, criticando anche la mancata estensione del possibile terzo mandato consecutivo ai sindaci dei comuni superiori e ai presidenti di giunta regionale e l'emendamento sull'ineleggibilità dei dipendenti regionali con mansioni esecutive; il partito di Renzi, tuttavia, ha anche stigmatizzato l'emendamento sull'esenzione dalla raccolta firme alle elezioni europee, "evidenziando - si legge nel resoconto - che non si sarebbe dovuto approvare una norma simile a pochi mesi dalle elezioni stesse e che si sarebbe comunque dovuto introdurre una normativa volta a facilitare la presentazione delle liste, invece di introdurre ulteriori vincoli". Il Pd ha invece votato contro, sia per l'insufficienza della disciplina del voto per gli studenti fuori sede, sia per l'eliminazione al tetto dei mandati per i comuni fino a 5mila abitanti, come pure sul citato "emendamento ineleggibilità"; nell'intervento finale di Dario Parrini non c'è stato alcun riferimento, invece, alla questione dell'esonero della raccolta firme, così come non ne ha fatti per il M5S Alessandra Maiorino (che ha formulato critiche affini a quelle di provenienza dem), dando l'impressione che per le forze maggiori dell'opposizione la riduzione dei casi di esonero dalla raccolta delle sottoscrizioni non sia vissuta come un vulnus particolarmente grave (un'impressione in lieve parte smentita dal successivo dibattito in aula). Un giudizio moderatamente critico su quell'emendamento, del quale "si sarebbe potuta predisporre una versione migliore", è arrivato piuttosto da Alleanza Verdi e Sinistra (con Peppe De Cristofaro), critica ancora una volta sul voto "insufficiente" ai "fuori sede" e sui limiti meno stringenti ai mandati consecutivi dei sindaci.
 

La lettera di Rifondazione comunista a Mattarella

Nel frattempo, il 9 marzo, era stata resa nota dal Partito della Rifondazione comunista una lettera inviata al presidente della Repubblica Sergio Mattarella il giorno prima dal segretario del Prc Maurizio Acerbo (nonché dal responsabile Democrazia e istituzioni Giovanni Russo Spena e dal responsabile dell'ufficio elettorale Raffaele Tecce), ma firmata innanzitutto da Walter Baier, presidente del Partito della Sinistra Europea, uno dei dieci partiti politico europei riconosciuti ai sensi del regolamento n.1141/2014 e inseriti nell'elenco pubblicato in rete.
La missiva, inviata al "garante supremo della nostra Carta Costituzionale e del sistema democratico", è chiaramente legata all'iniziativa del Prc che "sta coproponendo" la lista Pace Terra Dignità, i cui promotori più noti sono Michele Santoro e Raniero La Valle: lista che, sulla base della prassi aperta nel 2014 e consolidata nel 2019 che esonerava le liste legate a un partito europeo che avesse eletto eurodeputati all'ultima elezione, non avrebbe dovuto raccogliere le firme se avesse presentato un contrassegno composito, mentre a seguito dell'emendamento di Fratelli d'Italia (pur se riformulato) dovrebbe raccogliere le sottoscrizioni, essendo già trascorsa gran parte dei 180 giorni di tempo anteriori al termine di deposito delle candidature. 
Secondo gli autori della lettera, "una simile modifica, a poche settimane dalla scadenza del termine per presentare le firme, [...] è però evidentemente incostituzionale, perché non prevede una norma transitoria, e genera una evidente disparità, [...] perché incide su una situazione giuridica di vantaggio già conseguita, e dunque retroattivamente su diritti 'quesiti', particolarmente sensibili trattandosi di diritti elettorali". In particolare, per gli scriventi si deve tenere conto di quanto deciso più volte dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea, per cui "un legislatore nazionale violerebbe i principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento qualora adottasse, in modo improvviso e imprevedibile, una nuova legge che sopprime un diritto di cui godevano fino a tale momento i soggetti passivi, senza lasciare a questi ultimi il tempo necessario per adattarsi, e ciò senza che lo scopo da conseguire lo imponga".
Se dunque il Partito della Sinistra europea e il presidente del gruppo GUE al Parlamento europeo nel 2019 avevano dato mandato per la presentazione del contrassegno della lista La Sinistra (contenente le miniature dei rispettivi emblemi europei) e le liste erano state regolarmente ammesse sulla base della decisione del 2014 dell'Ufficio elettorale nazionale sui Verdi europei, ritenendo come sufficiente fattore di serietà l'elezione di europarlamentari da parte del partito politico europeo di riferimento anche in altri paesi, l'emendamento fatto approvare da Fdi ha reso improvvisamente necessario l'aver eletto europarlamentari, che innalza in prospettiva l'asticella per ottenere l'esenzione dalla raccolta firme, ma lo fa anche con riguardo alle elezioni europee per cui le candidature si presentano tra un mese e mezzo, poco più di un quarto del tempo previsto dalla legge n. 53/1990 per la raccolta delle firme (tempo sfruttato in pieno, invece, da chi sapeva già che non avrebbe avuto nessuna possibilità di essere esonerato).
Per il Prc e per la Sinistra europea la messa in dubbio della "legittima aspettativa, sulla base della legge vigente, di essere esentati" e il cambio delle regole "nella decorrenza dei termini non deve essere ritenuto possibile": le regole si possono sempre cambiare, "ma con effetto dalle successive tornate elettorali, evitando di ledere situazioni già completamente maturate, come, nel caso di specie, il diritto a presentarsi della lista degli scriventi. E d’altra parte ammettere una simile modifica a meno di due mesi dalla scadenza, significa ammettere modifiche delle regole financo a pochi giorni, o il giorno prima, del termine di scadenza per la consegna delle firme".
La lettera non lo cita, ma non sembra possibile trascurare il precedente pesante della sentenza  Ekoglasnost contro Bulgaria della Corte europea dei diritti dell'uomo (6 novembre 2012): lì si legge che "la stabilità della legislazione elettorale assume una particolare importanza per il rispetto dei diritti garantiti dall’articolo 3 del Protocollo n. 1", perché "se uno Stato modifica troppo spesso le regole elettorali fondamentali o se le modifica alla vigilia di uno scrutinio, rischia di scalfire il rispetto del pubblico per le garanzie che si presume assicurino libere elezioni o la sua fiducia nella loro esistenza". L'adozione di misure restrittive "poco tempo prima dello scrutinio [...] può rivelarne il carattere sproporzionato". La sentenza ha ovviamente citato il Codice di buona condotta in materia elettorale della Commissione di Venezia - più volte ricordato su questo sito - che in una delle sue disposizioni sottolinea l’importanza della stabilità del diritto elettorale, per cui non dovrebbero essere mutate le regole fondamentali del sistema elettorale meno di un anno prima delle elezioni, potendo essere interpretate modifiche più a ridosso, "seppur in assenza di una volontà di manipolazione, come legat[e] a interessi di parte congiunturali". Questo vale per le norme sulla modalità dello scrutinio, la composizione delle commissioni elettorali e la suddivisione in seggi elettorali delle circoscrizioni, ma la Corte Edu ha ritenuto che "anche le condizioni di partecipazione alle elezioni imposte alle formazioni politiche facciano parte delle regole elettorali fondamentali" e "l'introduzione di nuove esigenze poco tempo prima della data delle elezioni può indurre, in casi estremi, alla squalifica d’ufficio di partiti e coalizioni di opposizione, che beneficiano di un sostegno popolare importante, e così avvantaggiare le formazioni politiche al potere"; non è forse quest'ultimo il caso della lista che il Prc si preparava a copresentare, ma le questioni legate al tempo della modifica delle norme restano intatte. Anche perché, ferma restando la legittimità di affrontare con congegni appositi "il serio problema posto dalla partecipazione alle elezioni di numerose formazioni senza una vera legittimità politica ed elettorale", è vero che occorre presentare e approvare per tempo le norme, per approntare "una soluzione adeguata al problema dei 'partiti politici fantasma' pur rispettando il principio della stabilità delle regole fondamentali della legislazione elettorale".
 

I nuovi emendamenti in Assemblea

L'approdo oggi pomeriggio (dalle ore 16) del disegno di legge di conversione in aula a Palazzo Madama è stato preceduto dalla presentazione di vari emendamenti su vari punti. Si è già ricordato come la massima attenzione sia stata attratta dagli emendamenti della Lega sul terzo mandato per i presidenti delle giunte regionali (bocciato: 26 sì, 112 no, 3 astensioni) e sull'elezione dei sindaci dei comuni superiori con il 40% senza il ballottaggio (quest'ultimo ritirato e trasformato in ordine del giorno - poi approvato, con 81 voti a favore e un contrario, ma senza partecipazione al voto delle opposizioni - con l'annuncio del presidente del gruppo leghista Massimiliano Romeo di un'indisponibilità al ritiro alla prossima occasione), ma non può sfuggire l'attenzione sugli emendamenti relativi alla presentazione delle candidature alle elezioni europee.
Due proposte, in particolare, sono state presentate da Alleanza Verdi e Sinistra, con primo firmatario Peppe De Cristofaro. se la prima punta alla soppressione della disposizione introdotta in commissione (per ritornare alla condizione del 2019), la seconda - che chi scrive conosce piuttosto bene - propone di affiancare all'esenzione per i partiti costituiti in gruppo e quelli che abbiano ottenuto seggi in ragione proporzionale (non anche nei collegi uninominali, in base a quanto si legge) e per i partiti che abbiano ottenuto almeno un seggio in Italia alle ultime elezioni europee (purché la forza politica italiana sia affiliata a un partito europeo costituito in gruppo a Strasburgo) un'esenzione per "le liste presentate da uno o più partiti o gruppi politici affiliati a un partito politico europeo che risulti iscritto al registro istituito dall'articolo 7 del regolamento (UE, Euratom) n. 1141/2014 e che nell'ultima elezione abbia ottenuto, attraverso i partiti o gruppi politici nazionali affiliati, almeno un seggio al Parlamento europeo". Questa previsione consentirebbe di nuovo la possibilità di presentare liste per le forze italiane appartenenti a un partito europeo che abbia eletto europarlamentari in altri paesi europei; lo stesso emendamento precisa però che l'affiliazione al partito europeo sia "certificata a mezzo di dichiarazione sottoscritta dal legale rappresentante del rispettivo partito politico europeo a beneficio di una sola lista da presentare nelle circoscrizioni italiane e autenticata da un notaio o da un'autorità diplomatica o consolare italiana": non sarebbe più possibile, dunque, la compresenza di più liste esenti da firme per il riferimento al medesimo partito europeo per il tramite di diversi partiti aderenti (com'era accaduto nel 2019 con le liste di Popolo della Famiglia - Alternativa popolare e Popolari per l'Italia).
Un altro emendamento è stato presentato da Azione, a firma di Mariastella Gelmini e del senatore giurista Marco Lombardo: esso prevede che solo a partire dalle elezioni europee successive al 2024 siano esonerati i partiti "costituiti in gruppo parlamentare nella legislatura in corso entro il 30 settembre dell'anno precedente, anche in una sola delle due Camere" o che abbiano ottenuto almeno un seggio in ragione proporzionale; l'esenzione sarebbe prevista anche per le liste espressioni di partiti che abbiano eletto almeno un europarlamentare in Italia alle elezioni europee precedenti (purché, anche qui, quei partiti siano membri di un partito europeo costituito in gruppo); si prevede poi, probabilmente per evitare interpretazioni difformi tra gli uffici elettorali, che "I presupposti per l'esonero dalla raccolta firme [...] sono riconosciuti ai partiti e ai gruppi politici, su richiesta degli stessi, dalla Direzione centrale dei servizi elettorali del Ministero dell'Interno entro il 31 ottobre dell'anno precedente a quello delle elezioni", con decadenza dal beneficio se non si fa richiesta in tempo.
L'attenzione più rilevante va però all'emendamento presentato da Fratelli d'Italia (stessi firmatari dell'emendamento presentato in commissione - Marco Lisei, Costanzo Della Porta, Domenica Spinelli, Andrea De Priamo - cui si aggiunge Michele Barcaiuolo) che "limitatamente alla elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia del 2024" riduce della metà "il numero minimo delle sottoscrizioni richiesto [...] per la presentazione delle liste dei candidati in ciascuna circoscrizione elettorale", per cui occorrerebbero almeno 15mila firme per ogni circoscrizione (75mila in tutto) e comunque almeno 1500 per ogni Regione. Considerando che è la stessa forza politica ad avere proposto un ammorbidimento significativo - sia pure una tantum - del requisito delle firme, dopo che il primo firmatario aveva detto che le firme non erano in numero così elevate, non è improbabile che la moral suasion richiesta da Rifondazione comunista al Presidente della Repubblica abbia avuto qualche effetto. 
Tanto la Commissione (con il presidente Balboni) quanto il governo (con la sottosegretaria Ferro) hanno dato parere contrario agli emendamenti delle opposizioni, favorevole a quello della maggioranza. Se l'aula ha bocciato gli emendamenti a prima firma De Cristofaro (quello volto a tornare allo stato del 2019 con 48 sì, 77 no e un'astensione; quello teso a restaurare l'esenzione per via solo europea con 43 sì, 77 no e 4 astenuti) e quello di Azione (33 sì, 77 no, 16 astenuti), la proposta di Fdi sul dimezzamento delle firme per il solo 2024 è invece passata con 106 voti favorevoli, 3 contrari e 18 astenuti.

Considerazioni finali

La prima valutazione va fatta sul metodo. E non si tratta solo delle profonde perplessità sulla correttezza di modificare dettagli rilevanti delle norme sul voto e sul procedimento elettorale quando mancano poche settimane alla presentazione delle liste. L'emendamento di Fratelli d'Italia che ha ridotto le esenzioni per le elezioni europee non è mai stato illustrato dai presentatori in Commissione (nelle sue varie versioni), così come non è stato illustrato quello che ha dimezzato le firme per il solo 2024, così come non si sono registrati interventi di Fdi sugli altri emendamenti in materia di esonero. Non sapremo mai, quindi, perché Fdi ha voluto esporsi con il taglio alle esenzioni, perché ha fatto mezzo passo indietro, perché oggi ha accettato - pur avendo detto in passato alla stampa, per bocca del primo firmatario, che "il numero delle firme non è così alto" - di dimezzare le firme, anche se solo per questa volta. Non sarà prassi illustrare tutti gli emendamenti, ma questo era particolarmente importante e il silenzio non può non colpire (non in positivo ovviamente). 
La questione firme ed esenzioni è stata in effetti lambita da tre interventi di senatori di Fratelli d'Italia; due di questi non paiono convincenti ("È prevista anche l'esenzione delle sottoscrizioni di firma per le elezioni europee per il partito che abbia ottenuto con il suo contrassegno un seggio nelle ultime elezioni europee" di Domenica Spinelli, cofirmataria dell'emendamento, ma quell'esenzione c'era già, mentre ne sono state eliminate altre...; De Priamo, altro cofirmatario, ha parlato invece di "norme per la semplificazione delle firme per le elezioni europee, sulle quali il collega Lisei ha fatto un attento lavoro emendativo", ma "semplificazione" non pare il termine corretto...). Il terzo intervento, quello di Costanzo Della Porta, sembra il più appropriato: "con il decreto-legge in esame poniamo anche un freno alle cosiddette liste fasulle. Ho letto dei dati e alle scorse elezioni europee si presentarono 18 liste, dieci delle quali hanno preso meno dell'1% e sette di queste dieci hanno preso meno dello 0,5%. Pertanto, nessuno vuole vietare la libera partecipazione alle consultazioni elettorali, però non dobbiamo neanche alterare le regole del gioco; per questo, restringere l'ambito di chi può partecipare non avendo consenso ci sembra un fatto piuttosto naturale"; meno naturale - ci si permette di dire - è farlo a ridosso della presentazione delle liste, senza prevedere fin dall'inizio norme una tantum per attutire il colpo per chi aveva legittime aspettative circa l'esenzione e avrebbe comunque le forze di raccogliere metà delle firme previste (da apprezzare, invece, l'invito dello stesso Della Porta affinché la Camera approvi presto il ddl Pirovano - ex Augussori sulle elezioni nei piccoli comuni). 
Da ultimo, appartiene a Fdi anche la sottosegretaria Wanda Ferro, che qualche frase sul punto l'ha detta: "La raccolta delle firme per le elezioni europee è già iniziata e i partiti hanno termini più stretti per raccogliere le firme nel numero previsto per legge. Ciò ha visto da parte della maggioranza la volontà di questo taglio di oltre il 50 per cento, per quella volontà di chi sempre e comunque rispetta credo la politica e che ha trovato accoglimento da parte del Ministero dell'interno". Ciò ovviamente spiega la legittimità e ragionevolezza del taglio, ma non la scelta della stretta sulle esenzioni (ma non toccava certo al governo o alla sottosegretaria Ferro questa spiegazione).
Per correttezza occorre dire che nemmeno gli altri partiti proponenti di emendamenti hanno illustrato le loro proposte nel merito: fanno eccezione - in sede di discussione generale - solo le parole pronunciate dal senatore De Cristofaro (Avs), molto simili a quelle dette in Commissione: "Trovo eccessivamente restrittiva [...] la normativa che ridisegna la possibilità di presentarsi alle elezioni europee. La considero sbagliata nel metodo e nel merito: nel metodo, perché credo che sia sbagliato cambiare le norme a pochi mesi o addirittura a poche settimane dal voto; nel merito, perché penso che sia troppo ristretta la possibilità di presentarsi alle elezioni, soprattutto per chi è fuori dal Parlamento. Vedo che c'è un emendamento che riduce il numero delle firme: questo mi sembra comunque un passo in avanti positivo, ma anche su questo probabilmente si doveva evitare una forzatura che nel corso delle giornate passate c'è stata e che dal mio punto di vista vede un forte elemento di dissenso".
Qualcosa di più si è detto negli interventi finali, con Gelmini (Azione) che ha ricordato come "si sia cercato - e lo abbiamo respinto con perdite - di modificare le regole del gioco a gioco iniziato e quindi non abbiamo consentito un esonero dalle liste delle firme che fosse fatto in modo da agevolare questo o quel partito"; "In un momento in cui è sempre più difficile chiamare al voto gli elettori e avere la loro partecipazione, si dovrebbe favorire al massimo, in ogni sua forma e in qualsiasi modo la possibilità di partecipare alle elezioni e anche all'elettorato passivo di candidarsi - ha aggiunto Dafne Musolino, di Italia viva, già Sud chiama Nord e non è forse inutile notarlo -. Invece, sempre con un emendamento della maggioranza viene introdotta una norma nel provvedimento [...] che voleva togliere la possibilità di non dover raccogliere le firme a quei partiti che, pur avendo eletto dei rappresentanti e quindi pur avendo dei parlamentari eletti, non li avevano eletti al proporzionale, ma soltanto ai collegi uninominali. Che cosa avevano fatto di male questi partiti [...] per meritarsi di non poter godere dell'esenzione della raccolta delle firme, che è nel testo della legge elettorale che vigeva fino a quando non è stato pubblicato questo decreto-legge? [...] Fatto sta che dopo una vibrata protesta di alcuni movimenti politici, condivisibile perché questa è una norma francamente antidemocratica nel momento in cui cambi le regole del gioco a novanta giorni dalle elezioni (indipendentemente da quali siano questi movimenti politici), è stato fatto anche qui un piccolo aggiustamento e si consente l'ammissione anche se si hanno solo eletti all'uninominale e non nel sistema proporzionale". 
Critiche sono arrivate anche da Alessandra Maiorino (M5S): "Poi avete cambiato le regole del gioco (peccato che la democrazia non è un gioco, ma è una cosa seria) a due mesi dalla scadenza elettorale delle europee. [...] Avete ristretto le condizioni per cui i partiti si possono presentare alle competizioni europee, complicando di gran lunga la situazione. Poi, evidentemente, presi da pentimento, avete allargato quelle restrizioni, per cui oggi chi deve raccogliere le firme non ne deve più raccogliere 150.000, ma 100.000. Peccato però che chi si stava preparando alle competizioni europee aveva già trovato una soluzione a norma vigente prima di questa roba che votiamo oggi. [...] Insomma, avete fatto un pasticcio inenarrabile e antidemocratico [...] a due mesi dalla presentazione delle liste necessarie per competere alle elezioni europee. Per cui avete inficiato i rapporti democratici e la possibilità di partecipare democraticamente alle elezioni". Per correttezza va detto che le firme da raccogliere sarebbero almeno 75mila e non 100mila; altrettanta correttezza richiede di segnalare che negli interventi dei senatori del Partito democratico - al di là delle parole di Dario Parrini, in cui si cita "tutta un'altra serie di situazioni, per le quali sarebbe stato invece necessario adottare in tempo utile, non a ridosso del voto, con un confronto ampio in Parlamento e senza la tagliola che in qualche modo il decreto-legge rappresenta, un intervento organico: non un intervento che sembra calato dall'alto, imposto e quindi avente le caratteristiche quasi di una forzatura, che viene portata avanti senza tener conto a sufficienza delle prerogative del Parlamento" - non si riesce a trovare un solo cenno esplicito alla questione delle esenzioni.
Il disegno di legge è stato approvato poco prima delle ore 21, con 79 sì, 39 no e 9 astenuti. Ora tocca alla Camera approvarlo entro la scadenza del 29 marzo. Nel frattempo le liste che pensano di poter raccogliere 75mila firme (e almeno 1500 per Regione) dovranno concentrare tutte le loro forze per cercare di raggiungere l'obiettivo: qualche simbolo che contava sulla "via europea" non arriverà sulla scheda, ma forse la moria sarà minore del previsto.

martedì 12 marzo 2024

Europee, Insieme liberi e Democrazia sovrana popolare in cerca di firme

Mentre manca poco più di un mese e mezzo alla presentazione delle liste per le elezioni europee dell'8 e del 9 giugno (la finestra per il deposito presso i cinque Uffici circoscrizionali è tra il 30 aprile e il 1° maggio), è opportuno dedicare un po' di spazio a due delle formazioni politiche che già da settimane hanno iniziato a muoversi per la raccolta delle sottoscrizioni, sapendo di non poter contare su qualche forma di affiliazione europea che potesse fondare un'esenzione sulla base della prassi del 2019 (ovviamente prima che l'approvazione di un emendamento di Fratelli d'Italia sostanzialmente sbarrasse la strada all'esenzione per forze politiche che non abbiano eletto deputati, senatori o europarlamentari). Al di là dei gazebo organizzati in varie località d'Italia, infatti, nei siti di vari comuni è apparsa la notizia della possibilità di firmare per la presentazione di due liste che hanno lasciato i moduli presso gli uffici per le relazioni con il pubblico, consentendo dunque ai residenti di sottoscrivere le candidature.
Il primo soggetto politico da considerare è Insieme liberi, non un partito ma una "confederazione politica" che ha partecipato per la prima volta alle elezioni regionali del Friuli - Venezia Giulia dello scorso anno: la sede legale, tra l'altro, è a Gorizia e il legale rappresentante è Ugo Rossi, consigliere comunale di Trieste. All'epoca delle regionali la lista fu promossa da Italexit, Ancora Italia (la parte di associazione che ha ritenuto di continuare il cammino con lo stesso nome convocando il congresso riminese di gennaio del 2023 ed è guidata da Nicola Vedovino), Movimento 3V, Movimento Gilet Arancioni, il Popolo della Famiglia, la Lista Civica Cambiamenti per Cervignano, le associazioni Il Quadrifoglio, Alister, Solidar, il Sindacato dei Popoli Liberi, il Comitato Tutela Salute Pubblica FVG e il comitato Personale UniUd contro il greenpass; il 23 ottobre 2023, però, al teatro Duse di Roma è politicamente nata la citata confederazione politica, sorta "per dare voce a chi cerca l'unione del vero dissenso come forza propulsiva del cambiamento, dopo un lavoro congiunto tra militanti provenienti da varie regioni italiane e appartenenti a vari movimenti e associazioni politico-culturali" (così si leggeva nel comunicato di lancio). 
All'origine del progetto politico c'è la reazione a quella che i fondatori hanno chiamato la manifestazione del "vero volto" delle "nuove dittature" delle "élite finanziarie": "È ormai chiaro il disegno del neoliberismo autoritario: condurci su una strada senza ritorno, fatta di mercati senza regole, paesi esautorati di ogni sovranità, cittadini senza diritti, privi di storia e di identità, ridotti a sopravvivere immersi in un controllo pervasivo e nella miseria crescente, sia morale che materiale. L'obiettivo principale di Insieme liberi è porre l’uomo - nato intrinsecamente libero - al centro di ogni scelta, rovesciando il paradigma attuale, che vede l'essere umano un mero strumento per l’arricchimento sfrenato delle oligarchie finanziarie; un uomo che deve poter perseguire la propria felicità e difendere la propria dignità e i propri diritti, opponendosi al globalismo acefalo" e a "un clima di continua emergenza". Insieme liberi si pone dunque come "comunità politica dal basso a struttura orizzontale, un organismo nazionale finalizzato ad unire sotto un unico simbolo, ma tenendole distinte, le tante anime che si riconoscono nella difesa degli stessi valori, in primis la libertà! Nessun legame con i partiti di sistema, nessun leader supremo da poter corrompere, solo decisioni assunte dalla base, condivise nei territori di riferimento dove tali decisioni vengono attuate, in una rete di coesione, solidarietà e collaborazione reciproca fra tutti gli aderenti", nel culto della centralità umana, della tutela della vita e dell'esercizio "della sovranità nazionale, a partire da quella monetaria, attraverso l’uscita da organismi sovranazionali - quali Ue, Onu, Oms e Nato - e da trattati che comportano cessioni di sovranità", nonché con il ripudio di ogni strumento internazionale non diplomatico e di "ogni limitazione delle libertà personali, attuata attraverso strumenti di controllo e di condizionamento psicologico, e la tutela dei diritti e delle libertà dell’individuo in ogni ambito, compreso quello terapeutico".
Lo statuto dell'associazione politica Liberi insieme descrive il simbolo della confederazione, "delimitato sulla circonferenza da una linea blu che nella parte inferiore diviene parte integrante di una porzione, anch’essa blu, delimitata nella parte inferiore della circonferenza stessa, mentre nella parte superiore da un profilo che partendo da destra in maniera rettilinea presenta, in prossimità dell’ideale linea mediana verticale, la prima di quattro prominenze. Proseguendo verso sinistra si ha la seconda prominenza di altezza uguale al doppio della prima, la terza prominenza di altezza uguale a quattro volte quella della prima e infine la quarta prominenza che con altezza uguale al triplo della prima declina fino a congiungersi alla circonferenza blu. [...] Nella parte superiore della circonferenza, separato dalla porzione inferiore tramite una linea di colore verde, bianco e rosso che ne segue l’andamento, su sfondo bianco, è rappresentato un sole nascente di colore giallo ocra, posizionato in basso a destra subito al di sopra della porzione inferiore blu, dal quale partono cinque raggi di colore giallo sfumato che avvicinandosi alla circonferenza esterna si intensificano assumendo una colorazione netta che ne rende i contorni nitidi. In primo piano in posizione centrale nella parte superiore del contrassegno, vi sono le parole sovrapposte in stampatello di colore blu con contorno bianco 'INSIEME LIBERI'". Nella porzione blu del cerchio, al posto del riferimento territoriale (visto alle regionali in Friuli - Venezia Giulia), questa volta si trova la parola "UscITA", con le ultime tre lettere tinte del tricolore nazionale, per significare l'intenzione di abbandonare l'Unione europea per recuperare parte della sovranità nazionale.
Si presenta come più noto a livello nazionale, invece, il contrassegno di Democrazia sovrana e popolare, altro soggetto politico che si pone come "coalizione di forze" e che - dopo vari mesi di attività nel 2023, inclusa la partecipazione alle elezioni suppletive senatoriali di Monza del 22 e 23 ottobre 2023 - ha celebrato il suo congresso fondativo il 27 e 28 gennaio 2024, con l'idea di combattere "il carattere totalitario della cosiddetta 'democrazia liberale'" e concorrere alla "accelerazione della rottura della già decadente costruzione di Bruxelles", propugnando "il ritorno della politica sopra l’economia e la finanza". Il risultato dovrebbe essere ottenuto attraverso vari obiettivi da perseguire, primi tra tutti la "fine dell'egemonia unipolare targata Usa e apertura di una nuova era multipolare", la "rottura della Ue e della Nato" (con il recupero della sovranità monetaria e l'uscita dall'Euro" e il concorso a un "nuovo equilibrio internazionale a 'cerchi concentrici'" che preveda il "recupero di una piena sovranità militare ed economica interna" con relazioni paritarie con gli altri Paesi per perseguire obiettivi di interesse generale e strategico; altri punti di rilievo riguardano il ristabilire il "primato del lavoro sulla rendita" (con la fine della libera circolazione dei capitali e la tassazione delle multinazionali alla pari di commercio e artigianato) e un'idea di "progresso che liberi l’uomo senza schiavizzarlo", la lotta alle agenzie di rating e alle società straniere che violano la libertà di espressione, l'aumento della produzione interna, la ricostruzione dello stato sociale (con lotta alle "disuguaglianze tipiche del capitalismo finanziario"); non mancano la "disarticolazione di centri di prostituzione intellettuale come l’Oms che strumentalizzano eventuali emergenze per ottenere cambiamenti di natura politica", l'abolizione dei contributi pubblici ai mass media ("evitando che il pensiero unico del mainstream sia addirittura finanziato dal popolo") e la lotta al neocolonialismo.
La nuova "coalizione di forze" che intende unire parte del "fronte del dissenso" (cosa che aveva già fatto con la lista Italia sovrana e popolare alle scorse elezioni politiche) ha scelto come presidente Francesco Toscano (già segretario di Ancora Italia, poi leader di Ancora Italia Sovrana e Popolare - formazione in continuità politica con Ancora Italia e con la lista del 2022, che dopo l'assemblea del 26 novembre 2022 ai Frentani ha scelto di cambiare simbolo, sostituendo il blu con il verde e il volto tricolore di Dante con la testa d'Italia), come coordinatore Marco Rizzo (presidente onorario del Partito comunista che aveva fondato come Comunisti sinistra popolare nel 2009 e che ora è guidato da Alberto Lombardo) e come legale rappresentante Antonello Cresti. Il simbolo è quello già visto alle suppletive e alle contemporanee elezioni provinciali trentine dello scorso anno: del simbolo di Italia sovrana e popolare è stata mantenuta la stellina rossa (usata come "puntino sulla i" prima su "Italia", ora su "Democrazia") e l'impiego di una parte manoscritta in rosso (prima "e popolare", ora "sovrana"); il tricolore, che nel 2022 tingeva un segmento curvilineo, ora è creato da due tracce di pastello (una verde e una rossa) che hanno tutta l'aria di somigliare a quelle inventate da Bruno Magno per i Progressisti nel 1994 e ruotate di 180 gradi (anche se in effetti i tratti sono stati disegnati ex novo).
I due simboli di Insieme liberi e di Democrazia sovrana popolare si sono dunque attivati con congruo anticipo per determinare le candidature e sottoporle alle firme del corpo elettorale, nella speranza che il tempo sia sufficiente per superare le 150mila firme richieste dalla legge.